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Negli ultimi mesi si parla moltissimo dei nuovi motori di ricerca generativi: la funzionalità AI Overview di Google, ma anche i vari Perplexity, ChatGPT e tutti i chatbot che stanno ridefinendo il modo in cui accediamo alle informazioni online. I giudizi, come spesso accade, oscillano tra gli estremi: chi li considera una rivoluzione inevitabile da studiare per adeguarsi e chi li demonizza come la fine della SEO e “dell’Internet” come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. 

Nella mia umile opinione, la verità – almeno per ora – sta nel proverbiale mezzo. 

È un ecosistema ancora talmente fluido e acerbo che l’unica strada sensata mi sembra quella della sperimentazione. Osservare, testare, misurare e, cosa che ritengo molto utile, dialogare direttamente con gli strumenti stessi per capire come ragionano e quali criteri adottano “dietro le quinte”.

L’ottimizzazione di base resta la stessa

Nonostante i cambiamenti tecnologici, le fondamenta della scrittura per il web restano le stesse. Se un testo è ben scritto, ben strutturato, leggibile e semanticamente ricco, avrà sempre più probabilità di posizionarsi bene, in qualsiasi tipo di SERP o ranking, che sia tradizionale o generativa. La differenza, oggi, è che non si tratta solo di rispondere a una query, ma di costruire un contenuto capace di anticipare e coprire l’intero spettro di domande correlate, le cosiddette FAQ o People Also Ask.

Prendiamo un esempio concreto: un articolo dedicato a “come scegliere la migliore stampante online”. Un testo efficace non dovrebbe limitarsi a elencare i modelli più performanti, ma dovrebbe approfondire tutti i punti di contorno che un utente, e dunque anche un motore generativo, potrebbe considerare rilevanti: 

  • quali sono le marche più economiche e quali e-commerce hanno offerte attive,
  • le differenze tra stampanti laser e inkjet, 
  • come installare una stampante Wi-Fi, 
  • cosa fare in caso di inceppamento della carta, 
  • o ancora quanto costa mantenerla in termini di cartucce e assistenza, 
  • fino ai temi di sostenibilità, quindi quali stampanti hanno minore impatto ambientale e rendono meno usando carta riciclata.

Un contenuto che riesce a coprire in modo ordinato e chiaro tutte queste micro-domande ha molte più possibilità di essere considerato “completo” e quindi di essere citato o richiamato anche nei risultati generativi. In pratica, più l’articolo risponde in profondità al bisogno informativo dell’utente, più è utile anche per l’intelligenza artificiale che deve riassumere o aggregare risposte attendibili.

L’autorevolezza non si costruisce solo sui canali owned

Se la qualità e la struttura dei contenuti restano la base, rimane altrettanto importante ciò che dall’esterno porta valore a quei contenuti. Non si tratta più soltanto di link building in senso stretto, ma di menzioni, citazioni e presenza all’interno di ecosistemi editoriali riconosciuti come autorevoli.

I motori generativi, proprio come Google, si affidano a un principio di, potremmo definirla, reputazione digitale. Quando devono decidere quali siti o brand menzionare nelle loro risposte, tendono a preferire quelli che compaiono più spesso in fonti attendibili e storicamente consolidate: portali di settore, magazine specializzati, studi o guide che abbiano un archivio rilevante. 

In quest’ottica, le attività di branding e di Digital PR assumono un ruolo strategico, perché costruiscono una rete di segnali esterni che contribuisce a definire l’autorevolezza complessiva di un sito o di un marchio.

Un piccolo esperimento con ChatGPT

Qualche settimana fa ho condotto un esperimento per un cliente del settore food & beverage, un brand giovane rispetto ai competitor e con un e-commerce in crescita. L’obiettivo era capire come far sì che il marchio venisse citato nelle risposte di motori generativi come Perplexity o ChatGPT. 

Sono partita in modo molto semplice: ho aperto una nuova chat e ho chiesto all’assistente di indicarmi i migliori e-commerce dove acquistare quel particolare prodotto. Il risultato è stato un elenco preciso e articolato… ma composto esclusivamente dai competitor storici! Del mio cliente, nemmeno l’ombra. 

A quel punto ho deciso di chiedere direttamente all’assistente AI perché non lo avesse incluso, nonostante la sua offerta fosse competitiva. La risposta è stata illuminante. ChatGPT ha riconosciuto la qualità e l’innovazione del marchio, ma ha spiegato che nella sua ricerca aggregava i siti più storici, quelli più frequentemente citati da portali specializzati e da fonti consolidate. In altre parole, i competitor con maggiore “anzianità di servizio” sul web erano presenti perché vantavano una lunga storia editoriale e molte più menzioni nei contenuti già indicizzati e referenziati. Il brand del mio cliente, essendo più recente, aveva semplicemente una minore visibilità storica.

La conclusione è chiara: la citazione nei motori generativi non dipende solo dalla qualità del sito o dei prodotti, ma anche (e soprattutto) dalla quantità e dalla solidità delle menzioni online. La reputazione digitale non è solo questione di performance o di SEO tecnica, ma anche di presenza editoriale e di relazioni costruite nel tempo.

E quindi, come mi faccio menzionare dalle AI?

La visibilità nei motori di ricerca generativi è un ambito ancora giovane, ma non completamente nuovo: intendo che i principi di fondo, come qualità dei contenuti, struttura chiara, autorevolezza esterna, restano validi, solo vengono applicati in un contesto più ampio e dinamico.

Chi produce contenuti oggi non deve più pensare solo al posizionamento in SERP di per sé, ma alla capacità di essere riconosciuto come fonte autorevole e affidabile anche dalle intelligenze artificiali che stanno ridefinendo il modo in cui cerchiamo e leggiamo informazioni. In fondo, anche le macchine, proprio come le persone, finiscono per fidarsi dal “passaparola digitale” basandosi su fonti storiche e autorevoli, sulla social proof e le menzioni sui media.